ARTE,LETTERATURA e ALTRE MATERIE UMANISTICHE: PERDITA DI TEMPO O MATERIE UTILI?

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In una società pragmatica e alla ricerca sempre dell’utile come quella in cui viviamo, diventa sempre più ragionevole domandarsi, malgrado molti, a cosa possa servire studiare nelle scuole l’arte, la letteratura, e altre materie umanistiche come la storia, la filosofia, l’archeologia nelle università…Inoltre non ha tutti torti chi si domanda come è possibile scegliere, imbattersi in un percorso universitario che non apre al giovane nessuna porta.
Purtroppo e per fortuna, viviamo in una società molto tecnologica, globalizzata, pragmatica, purtroppo attraversata da un periodo di crisi in cui a volte può non avere senso studiare queste materie a vantaggio di altre definite più utili come la matematica, la fisica, la chimica, la medicina.
L’arte, nel suo significato più ampio, comprende attività umane che portano alla creazione di un manufatto o un’espressione estetica. Anche la letteratura è un’espressione umana che però ha come mezzo il linguaggio verbale.
Queste materie, seguite da altre come la storia, la filosofia, la storia del cinema, l’archeologia, ma anche la geografia, che utilità hanno in una società come la nostra che privilegia la concretezza, l’utile?
Innanzitutto si deve ribadire che l’Italia è stata ed è la patria di grandi letterati, di grandi artisti sin dall’antica Roma, periodo in cui l’Italia era abitata da artisti, architetti, scultori che hanno lasciato fino ai nostri giorni delle testimonianze spettacolari che fanno del nostro paese quello con la più alta concentrazione di beni culturali nel mondo. Infatti più della metà dei beni culturali nel mondo sono presenti in Italia. Perciò è un dovere morale conoscere queste testimonianze. Di conseguenza è opportuno conoscere materie come la storia, l’arte, la letteratura, la filosofia, l’archeologia, la storia del cinema, ma anche la storia della musica, perchè la società del presente è il frutto di secoli di cambiamenti politici, artistici, letterari, musicali etc etc…Ovviamente non ci si deve fermare a studiare solo l’Italia ma toccare tutte le parti del mondo.
Materie come l’arte e la letteratura, se sono state insegnate bene nelle scuole con l’aggiunta dell’interesse da parte dell’allievo, possono diventare anche dei rifugi dalla vita frenetica che viviamo ogni giorno, come già accadeva nell’ antica Roma. In questo periodo infatti l’arte greca rappresentava la bellezza per eccellenza e le più grandi famiglie aristocratiche riempivano i loro giardini, i corridoi di copie di statue provenienti dalla Grecia, ma anche di originali. Da qui è nata la creazione di opere d’arte partendo dalle imitazione di quelle greche.
Ancora oggi, fare una vacanza in un luogo di interesse culturale e visitare un monumento artistico, architettonico o un quadro, una scultura in un museo, oltre che arricchire culturalmente, può risultare piacevole, anche se questo dipende molto dagli interessi di ognuno di noi. Stesso discorso può essere valido per la letteratura. Molte volte infatti accade che ci si appassiona alla vita di un autore, alle storie che racconta e che leggiamo con piacere nei momenti di relax dopo una lunga giornata stressante.
Negli anni sta prendendo piede nelle scuole lo studio della storia del cinema, anche se ancora non è una materia autonoma. Vedere un film è senza dubbio piacevole, ma vedere un film di un determinato peridio storico, studiare l’epoca in cui è ambientato, conoscere gli attori e il regista è anche utile ad arricchire il nostro bagaglio culturale per conoscere i precursori del nostro cinema attuale. A tal proposito sarebbe necessario conoscere e studiare nelle scuole anche la storia della musica. La musica costituisce uno dei più grandi interessi dei giovani. Partendo da ciò si potrebbe conoscere le origini della musica, dai più grandi compositori italiani e stranieri fino ad arrivare alla musica dei nostri giorni.
Inoltre per chi sostiene che con “la cultura non si mangia”, si può rispondere che la cultura in Italia potrebbe essere una delle principali risorse se il governo e i vari enti pubblici e privati investissero nei beni culturali, essendo l’Italia uno dei paesi con la più alta concentrazione nel mondo. Si svilupperebbe cosi anche un turismo culturale in tutta Italia, ma ciò accade solo in pochissime città come Roma, Firenze, Siena, Venezia, Verona, Napoli etc.etc In realtà ci sarebbero molti altri capoluoghi d’Italia ma anche piccoli comuni che non avrebbero nulla da invidiare a queste città che però non sono per nulla valorizzate…
E’ necessario comunque conoscere queste materie umanistiche nelle scuole intanto perchè viviamo in un paese in cui la cultura artistica e letteraria è notevole per capire i passi, i cambiamenti, le vicende che hanno portato al presente che viviamo e anche per diletto. Ciò sarà utile anche per chi nel percorso universitario e lavorativo sceglierà altre strade……………… 

VALERIA SCHIAVI


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ALDA MERINI: SE IL DOLORE DIVENTA POESIA…

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(di Alice Urciuolo)

Alda Merini è senza dubbio una delle voci più potenti e sincere della poesia italiana del nostro secolo.
Nata nel 1931 a Milano, la poetessa è venuta a mancare l’anno scorso, lasciandoci in dono una grande quantità di opere.
Le poesie di Alda, oniriche, sognanti, autentiche, si leggono come si legge un diario segreto.
Il canto di Alda, infatti, non nasce per altri, ma nasce per un’esigenza personale della poetessa, è un atto necessario che sgorga impetuoso senza censure e, proprio perchè così sfacciatamente appassionato, la nostra lettura sembra un’ingerenza.
Ma è solo un’impressione: Alda ci invita a partecipare al suo tormento interiore, ed è proprio da questo che la sua poesia prende vita. “La tenebra è sempre stata la mia luce”, scrive.

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DANCE DANCE DANCE – Un folgorante noir giapponese

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(di Alice Urciuolo)

Quando leggiamo un libro ci addentriamo in un mondo immaginario ed entriamo dentro storie fantastiche e facciamo amicizia con i loro personaggi.
Non con i libri di Murakami.
Libri come DANCE DANCE DANCE creano una vera e propria realtà parallela, un mondo nel quale entriamo quasi senza accorgercene.
Riprendere in mano i libri di Murakami letti tempo fa è come tornare in una città che si è visitata tanti anni prima: sono dei nuclei vitali che nel frattempo sono andati avanti, anche senza te.
E’ proprio quello che succede al protagonista di questa storia, un giornalista free lance che torna a Sapporo, in un albergo dove aveva già alloggiato tempo fa, e lo trova totalmente cambiato. Continua a leggere

Paulo Coelho: alla continua ricerca della conoscenza

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(di Lino Miccinilli)

Recentemente le mie esperienze di lettore mi hanno portato a conoscere uno scrittore che ha suscitato in me grande interesse e curiosità. Vi sto parlando di Paulo Coelho, scrittore brasiliano contemporaneo, nonché autore di appassionanti romanzi a sfondo prettamente mistico ed autobiografico, i quali sono caratterizzati da una rilevante semplicità etica e linguistica, con la quale cerca di “catalizzare” i lettori in quella che lui definisce la continua ricerca della conoscenza.

Coelho nasce a Rio de Janeiro il 24 aprile del 1947, lo stesso giorno di Jorge Luis Borges, poeta argentino, definito da Coelho il suo idolo letterario poichè ha evocato in lui la passione per la scrittura.

Paulo Coelho ha vissuto un’infanzia difficile: ricoveri in manicomi, brutte esperienze con la droga, la magia nera, i litigi continui con la famiglia, che nel suo cammino adolescenziale ha tentato d’indirizzarlo più volte verso destinazioni da lui non gradite, sono tutte tracce importanti della sua gioventù e trovano pieno riscontro nella sua inquieta personalità.

Paulo Coelho è stato infatti un’anticonformista, un ricercatore innovativo; nei suoi libri vengono spesso messe in risalto le continue sfide a cui l’uomo deve sottoporsi per cercare la strada giusta del suo cammino, e proprio questa sua caratteristica l’ha portato a provare ogni cosa, buona o cattiva, che si presentasse sulla sua strada. E’ storia che, quando in piena febbre sessantottina nascono i nuovi movimenti guerriglieri e hippy, lo scrittore si accosta molto alle idee di Marx, Engels, Che Guevara e diventa un’attivista partecipando a comizi e manifestazioni. Partecipa attivamente a tutte le manifestazioni messe in atto dai movimenti progressisti e entra di diritto nella generazione Peace and Love; é questo il periodo in cui lo scrittore, cresciuto con valori profondamente cristiani, inizia a dubitare della sua fede e si avvicina ad un nuovo percorso spirituale approfondendo varie teologie molto distanti dal punto di partenza. E’ inutile negare che iniziò ad assumere un eccessivo uso di droghe, allucinogeni oltre alla timida frequentazione di alcune sette.

L’esperienza che condizionerà positivamente la sua vita, riportandolo alla sua innata fede religiosa e alla passione per la scrittura, è il cammino di Santiago, una tappa fondamentale per lui proprio perché rivelatosi il punto di partenza della sua importante carriera letteraria e da cui scaturirà la sua prima opera,”Diario di un Mago”. Qualche anno dopo infatti pubblicherà altri romanzi, da “l’Alchimista”, il suo capolavoro, fino a “Veronika decide di morire”, tutte opere che riscuoteranno grande successo e lo innalzeranno all’apice delle vendite e della notorietà. Continua a leggere

“Le quaranta porte” di Elif Shafak

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(di Alice Urciuolo)

“La shari’a è come una candela – disse Shams-i Tabriz- Ci mette a disposizione una luce molto preziosa. Ma non bisogna dimenticare che la candela ci aiuta ad andare da un luogo all’altro quando è buio. Se dimentichiamo dove stiamo andando e ci concentriamo solo sulla candela, a che potrà servire?”
A differenza di come potrebbe sembrare, “Le quaranta porte” della famosa scrittrice turca Elif Shafak, non è un libro sulla religione, bensì sulla spiritualità.
Nella Turchia del XIII secolo, nacque una fenomenale amicizia: quella tra il derviscio Shams e il poeta Rumi, lo “Shakespeare dell’Islam”. La protagonista del libro, Ella, quarantenne con una famiglia perfetta che ha dimenticato da tempo cosa sia l’amore, si addentra nella storia di questo sensazionale legame tramite “La dolce eresia”, un libro che l’agenzia letteraria dove lavora le ha inviato per un parere.
Così per Ella si aprono nuove porte, precisamente quaranta, come le regole dell’Amore che Shams insegnò a Rumi secoli fa, e che ispirarono a Rumi le sue poesie più belle. Continua a leggere

JOHN KEATS: “Una cosa bella è una gioia per sempre”

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(di Alice Urciuolo)

L’uscita nelle sale del film Bright Star riporta l’attenzione su uno dei poeti più sublimi e delicati del romanticismo inglese: John Keats. Tanto vasta fu la sua produzione quanto breve fu la sua vita: egli nacque nel 1795 e morì nel 1821 a causa della tisi.

Tutto ciò che scalda il cuore di Keats è materia delle sue poesie: i verdi paesaggi della sua terra, i suoi libri preferiti, la Poesia stessa, l’Amore. Nelle poesie e nelle lettere indirizzate al suo grande amore Fanny Brawne emerge un poeta delicato, sensuale, e in questi tempi di violenza la dolce sensualità di Keats è quello che colpisce, che piace:

“Non sono certo di nulla tranne che della santità degli affetti del cuore, e della verità dell’immaginazione.-diceva- Quel che l’immaginazione percepisce come bellezza deve essere vero,sia o no esistito prima,poiché secondo me tutte le nostre passioni sono come l’amore: tutte, se intensamente sublimi, sono creatrici di bellezza pura”.

Keats non era un poeta violento: tutto nei suoi versi vibra di bellezza, è intriso di tenerezza, tutto ci trasporta in un sogno ad occhi aperti sulle ali della fantasia:

“Oh dolce Fantasia! Lasciala andare/seta il suo guinzaglio/rompine tu le maglie!”

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Chuck Palahniuk, il racconto senza pudore…

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(di Francesco Baratta)
Ci sono autori che ti raccontano una storia, altri invece te la fanno vivere. Chuck Palahniuk (si pronunica polànic) è uno di questi. Se leggi un suo libro ti chiedi che cosa gli passi per la testa. Solo col tempo apprezzi al meglio la sua immensa capacità. La capacità di trasmettere le sensazioni proprie di quella generazione che racconta in maniera dissacrante, cruda, anzi crudele. Puoi dimenticare, col tempo, le storie raccontate nei suoi romanzi ma non quel senso di vuoto che immancabilmente ti lasciano dentro.
La generazione raccontata da Palahniuk è una generazione inetta nelle azioni ma spesso non nel pensiero. Pur negativi, i suoi personaggi sono dei veri e propri supereroi. O almeno pensi che lo siano.  Per l’intero libro. Fino a poco prima del finale, quando immancabilmente, in maniera violenta, vengono riportati alla loro dimensione dolorosamente umana.
È così che nascono personaggi come Tyler Durden, interpretato nella fortunatissima trasposizione cinematografica da un Brad Pitt da applausi, protagonista dello “stupefacente” “Fight Club”, o il truffaldino Victor Mancini del “cinico” “Soffocare”che finiranno per dimostrarsi, attraverso conclusioni imprevedibili e al limite col grottesco, nella loro reale misera natura. Continua a leggere

La solitudine dei numeri primi

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Continuamo la collaborazione con i nostri lettori nella speranza che questo mezzo diventi sempre più partecipato. 
Se volete condividere i vostri contenuti con noi e con la community di PuntoFuturo inviate i post a: punto.futuro2010@gmail.com
(di Carolina Altobelli)

“I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari. […] Mattia sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci.”

“La solitudine dei numeri primi”, di Paolo Giordano, edito da Mondadori nel 2008, narra come le storie di Alice e Mattia si incrociano e si allontanano più volte. Un’infanzia difficile accomuna i due ragazzi; porta Alice ad ammalarsi d’anoressia e conduce Mattia verso forti tendenze all’autolesionismo.
I protagonisti si trovano alle estremità di un oscillatore armonico; essi si avvicinano e sembra quasi che si tocchino, ma si allontanano bruscamente ritornando a “distanza di sicurezza”: sono due esseri assolutamente simili ma intrappolati così fortemente in se’ stessi da non potersi vivere a vicenda.

“Aveva imparato a rispettare il baratro che lui aveva scavato tutto intorno a se… anni prima aveva provato a saltarlo quel baratro e ci era cascato dentro… ora si accontentava di sedersi sul ciglio con le gambe a penzoloni nel vuoto” Per Alice e Mattia le amicizie e la famglia non sono un appiglio durante i momenti tormentati della vita; sono paradossalmente la causa della loro infelicità.
A molti sembreranno patetiche le loro vite, ma un’attenta riflessione può permettere di cogliere alcuni aspetti che molti avranno sperimentato nel proprio trascorso: in che misura gli eventi spiacevoli vissuti in età infantile incidono sulla crescita di un individuo? E’ risaputo che l’infanzia è il momento fondamentale della vita di ognuno, ed è di fondamentale importanza un solido nido familiare. Un aspetto notoriamente attuale, ma la domanda è questa: è ancora grado, la famiglia, di proteggere l’infanzia? è ancora in grado di formare “individui sociali”?
Quella di Mattia non riesce a far fronte alla perdita della sorella disabile e lascia che il protagonista, allora bambino, si prenda le colpe di questo tragico evento; per Alice è un po’ diverso: cova un profondo senso di rabbia nei confronti del padre e prova a sublimare questo sentimento; ma il conflitto irrisolto con il genitore la porta a fuggire i rapporti interpersonali. La famiglia è lo sfondo del romanzo, come è lo sfondo nella vita di ognuno; la base da cui originano le capacità relazionali e la fiducia in se’ stessi, requisiti fondamentali per una serena vita sociale.

“Ormai l’aveva imparato.
Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante. Era successo con Michela e poi con Alice e adesso di nuovo. Stavolta li riconosceva: quei secondi erano lì e lui non si sarebbe più sbagliato.”

Gli eventi costringono Alice Mattia a girare intorno a un punto fermo in una vita dove ciò che sembra contare sono soltanto le conseguenze.
Il finale lascia intravedere tutta l’amarezza di una vita mal spesa per i due protagonisti, che sebbene incapaci di subire completamente il retaggio della loro infelice infanzia, alla resa dei conti il bilancio delle loro vite è alquanto deludente.
Il romanzo ha deluso molti lettori e in quanto al mio modesto parere non riesco ancora a fornire un giudizio personale: è un testo che prende e lascia, che fa venire voglia di non averlo mai iniziato, che rende il lettore ansioso alla ricerca del finale che sembra non arrivare mai. Può essere profondo senza necessariamente essere assorbito da tutti. Un romanzo da leggere una volta sola.

L’ultima fatica di Angelini.

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(di Andrea Schiavi)

La stagione estiva si è aperta per il panorama culturale privernate nel migliore dei modi. La bella stagione è appena iniziata e ha portato con se due importanti novità librarie, frutto dell’inteso lavoro di due ricercatori privernati: Edmondo Angelini e Cesare Bove . Quest’oggi porremo la nostra attenzione sul primo dei due. L’opera in questione, ” Un genio sconosciuto della Roma Barocca: Teodosio Rossi da Piperno”, è stata presentata presso l’aula magna dell’istituto di via Montanino a lui intitolato. Il lavoro mastodontico del modernista Angelini si è soffermato nel riesumare tutti quei documenti conservati negli svariati archivi italiani allo scopo di dare quel giusto lustro ad un nostro concittadino, vissuto a cavallo tra ‘500 e ‘600, fino ad ora quasi, o del tutto, dimenticato dalla storiografia ufficiale. Ma chi era Teodosio Rossi? Le carte rinvenute dall’autore, gli attribuiscono una moltitudine di appellativi: matematico, teologo, filosofo, astrologo, appassionato di poesia greca e latina. Ma il Rossi non era nient’altro che un avvocato, l’unica sua vera professione. Tutti i suoi contributi dati alla scienza non possono esser che visti come puro diletto. Da ricordare sono i suoi lavori e i suoi studi nel campo dell’astronomia, nella riforma del calendario e sugli orologi solari, gli unici all’epoca in grado di scandire i momenti della giornata.
Ad impreziosire il lavoro dell’autore sono stati soprattutto gli interventi di altri due illustri privernati che hanno fatto strada nel mondo della ricerca: il professor Enrico Giusti, docente ordinario presso la facoltà di matematica dell’Università di Firenze, e affermatissimo storico della matematica e il professor Stefano Pagliaroli, filologo e docente presso l’Università degli Studi di Verona. Il loro contributo accademico ha conferito all’opera in questione il giusto valore che una ricerca del genere merita. A chiudere i lavori è stato il dirigente scolastico, Antonio Ferrante, con una promessa alquanto altisonante: la realizzazione di una statua di Teodosio Rossi nel cortile antistante l’istituto. A prescindere da quello che può essere il suo valore letterario, storico, culturale, l’opera di Angelini è e rimarrà un libro che deve obbligatoriamente essere conservato nelle case di ogni privernate, come testimonianze preziosa di un passato che non deve essere dimenticato.

Big Broter is watching you

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Oggi il calcio lascia il posto ad una nostra lettrice che, dopo aver lamentato un “vuoto letterario” tra le nostre rubriche, ha prontamente raccolto il nostro invito ad inviarci un post e noi, altrettanto prontamente, non manchiamo di pubblicarlo. Buona lettura.

(di Valeria Picozza)

“Prese il libro di storia per bambini e guardò il ritratto del Grande Fratello che campeggiava sul frontespizio. I suoi occhi lo fissarono, ipnotici. […] Un bel giorno il Partito avrebbe proclamato che due più due fa cinque, e voi avreste dovuto crederci. […] In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? […] Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo?”
Rinnegare l’esistenza del reale, addormentare per sempre l’autocoscienza umana, annientare lo spirito lasciando scorrere dentro le vene niente altro che sangue, rendere il proprio corpo e la propria mente uno strumento altrui: questa è la dittatura secondo lo scrittore inglese George Orwell, elaborata tra le pagine del libro “1984”. Quest’opera, considerata dai critici il massimo capolavoro dell’autore, narra la strenua lotta di un uomo, Winston Smith, “l’ultimo vero uomo in Europa”, contro la potente macchina della dittatura che trasforma gli esseri umani in inutili ingranaggi facili da sostituire. Ambientato nel 1984, ma scritto nel 1948, l’autore crea un fantastico mondo governato da tre superpotenze in perenne conflitto tra loro: Oceania, Eurasia e Estasia. Il protagonista vive in Oceania, stato completamente soggiogato dal potere di un solo uomo (definirlo tale è un eufemismo), onnisciente e onnipresente: il Grande Fratello; leader assoluto del Socing, partito socialista inglese. Winston, pur essendo contrario all’ideologia politica sostenuta dal partito, ne è egli stesso membro, contribuendo così al disfacimento della memoria collettiva attraverso un’attività di serrata censura, poiché “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”. Leggendo il libro è quasi impossibile non continuare a ripetersi nella mente l’incisivo e paradossale slogan del partito: “La guerra è pace; La libertà è schiavitù; L’ignoranza è forza”. Nonostante questo “masterpiece” abbia tratto la propria ispirazione dai totalitarismi dell’epoca, in particolar modo quello di Stalin, vi si possono scovare al suo interno numerose analogie con la società odierna: senza accorgercene viviamo la nostra vita sotto l’assiduo controllo di mille occhi. Basti pensare alle intercettazioni, al monopolio dei mass-media oppure alla formulazione di leggi ad personam e tanti ed altri esempi; ci si rende così conto che la dittatura utopistica di Orwell è meno fantasiosa di quanto si possa credere. Allora, alla luce di questi riflessioni, vi domando se possa realmente esistere una società, come quella descritta nel libro, fondata da uomini deboli e pavidi, privati della forza alla resistenza e del significato di libertà. Può l’uomo essere sottomesso ad un’autorità politica fino al punto di stravolgere la verità in falsità, l’amore in odio e la libertà in schiavitù? Oppure la libertà permarrà sempre nell’essenza umana come una necessità indistruttibile e incorruttibile?